#23 - La zappa nella letteratura
La ricerca nel campo della letteratura mi ha portato ad un libro di uno scrittore italiano chiamato Giovanni Papini che nel libro "Giorni di festa", di cui è possibile visionarne una copia proveniente dall'Università di Toronto gratuitamente (cliccare qui), dedica una delle sue poesie in prosa alla zappa:
Voi non sapete quanto sia bella la Zappa. Non potete sapere voi cittadini di città, quanto può esser bella una zappa.
Una semplice zappa di campagna, una vera zappa nelle due mani del contadino, una reale zappa appoggiata ai sassi del muro, accanto all'uscio del contadino.
Un pezzo di legno infilato in un pezzo di ferro. Un povero pezzo di legno, una semplice stanga di legno duro, di legno forte, di legno onesto. Un pezzo di legno appena squadrato, conciato, spianato, affinato dal filo dell'accetta. Non pulito, non verniciato non lustrato: le due mani dello zappatore, le due mani ingrossate, rugate, indurite, incallite gli daranno giorno per giorno la lucentezza dell'antico, la luce del lavoro che vince il sudicio del sudore e della carne.
Un pezzo di ferro, un povero pezzo di ferro che il fuoco e l'acqua hanno piegato e ridotto nell'antro domestico del fabbro di mezzosecolo. Un duro pezzo di ferro che fu molle come la pasta del pane, come il formaggio appena messo nella caciaia. Un piccolo pezzo di metallo nero che il fabbro fece rosso nel fuoco e che il contadino fa splendere al sole come l'argento.
Ma voi non potete sapere, non potete vedere, cittadini di città, quanto sia bella una zappa. Una grande zappa d'argento nelle due mani nere del contadino, che frange i sassi nascosti, mozza le radiche vecchie, rompe la terra asseccata, impallidita, stremata dalle mietiture e la fa tornare, come per miracolo, nera.
La zappa non ha bisogno dei bovi aggiogati, come l'aratro; non ha bisogno del piede, come la vanga. La zappa non chiede che due mani forti, due mani nodose, due mani potenti, risolute, consacrate, due mani del colore stesso della terra, mani dove le vene sporgono come radici che serpono a fior di terra.
La zappa, questo arnese proprio dell'uomo, venuto dalla terra, costruito con un pezzo d'albero, con un pezzo di ferro, coll'aiuto del fuoco e dell'acqua, la zappa dei padri antichi, e dei padri dei padri e che le madri e le figlie maneggiano quando i padri mancano -perché i padri devono anche viaggiare per il mondo e vincere le guerre- la zappa, strumento del grande lavoro necessario, del lavoro eterno, del lavoro di dominazione dell'uomo sulla terra, del lavoro che tutti i giorni risuona nei campi eterni della terra.
Insieme allo scettro del re, al Bastone del Pastore, alla Spada del Soldato, alla Penna del Poeta, essa è degna d'esser venerata in ginocchio, d'esser lodata dalla nostra voce.
Ma voi non saprete mai, non potrete mai sapere, cittadini di città, animali delle mura, quanto sia bella una zappa, una grande zappa d'argento sotto l'oro del sole.
G. Papini, La Zappa, in : Giorni di festa, Firenze: Vallecchi, 1920, pag.75-77
Una descrizione che racchiude tutto il potere e il fascino di questo strumento, mettendoli allo stesso piano della spada del soldato e una penna del poeta e di come i cittadini della città perdano la possibilità di glorificare un qualcosa di così fondamentale per la storia dell'uomo.
Con il pezzo di legno che fa da ponte tra la "luce del lavoro" e le mani del contadino impegnato a spendere la sua forza per qualcosa di meglio; e il pezzo di ferro che collega due mondi diversi, quello del fabbro e del contadino, dandogli una continuità e una elevazione da semplice sostanza molle ad un pezzo di argento in grado di splendere sotto al sole.
È possibile visionare un'introduzione dedicata a questa poesia, cliccando qui.
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